Di
Antony Agnello,
Enrico Bellomo, Salvatore Lo Presti, Simona Zaffuto, Claudio Terrana,
Alessandro Basta, Davide Castelli, Claudia Castelli, Antonio Lo Presti,
Irene Milisenda. |
31/03/2015 |
Lettere. Grotte "panem et circenses" (più
circenses che panem); di Antony Agnello per SolidaMente |
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SolidaMente |
SolidaMente
Grotte "panem et circenses" (più circenses che panem)
Anche quest'anno la Pasqua di Grotte risulta essere una
tra le più belle manifestazioni culturali della provincia.
Un merito che va anche al buon operato dell'Amministrazione comunale, la
quale si è caricata addosso il pesante fardello delle spese, riuscendo a
donare al popolo di Grotte, oltre all'installazione di meravigliose
luminarie, anche l'esibizione di un grande cantante della musica italiana:
Fausto Leali.
Peccato, però, che tutto questo dovrà finire e che l'Amministrazione sarà
costretta a fare i conti con i quesiti seri che attanagliano il paese, come
per esempio, il problema delle strade dissestate.
Chissà se il Sig. Sindaco ha pensato bene di conservare qualche soldino per
la risoluzione delle brutture quotidiane...
SolidaMente coglie l'occasione per augurare a tutta la cittadinanza una
buona e serena Pasqua.
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Per SolidaMente
Antony Agnello
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09/01/2014 |
Proposte. "Accorrete"; racconto per la rubrica "SolidaMente" |
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SolidaMente |
SolidaMente
Accorrete
“Accorrete, accorrete tutti, la nostra Regina sta per morire!”.
E tutti accorsero con clamore al vecchio palazzo al centro del largo e
alberato viale, dove l’imponenza di un enorme portone di legno, chiuso da un
pesante catenaccio di bronzo, sigillava la dimora del potere. Non un
miraggio, ma solo una grande costruzione con molte finestre che - a detta
degli abitanti - non erano mai state aperte, nonostante ogni giorno
venissero puntualmente ripulite e rese brillanti alla vista di chi, con una
certa punta di curiosità, tendeva a sbirciare all’interno dell’austero
edificio, dove chissà quali grandi cose, quali inconoscibili misteri, si
celavano inesplorati.
All’interno dell’edificio, nel cuore del sesto e ultimo piano, in una
piccola e affollata stanza, giaceva la regina, accerchiata da dieci figure
distinte, che guardandosi, prima intorno, poi vicendevolmente, cercavano il
da farsi l’uno negli occhi dell’altro, ma non scorgendo nessuna soluzione.
Su una parete della camera, alla quale era accostato un massiccio scrittoio
in legno, erano appesi diversi quadri: volti rubicondi dalle mille
acconciature e dagli abiti più sfarzosi. Fra tutti, però, due erano in bella
vista, ed erano anche notevoli le dimensioni e il fregio della cornice che
li racchiudeva.
In uno di questi, un uomo con la camicia rossa, dalla barba e dai baffi
lunghi, guardava con immobile profondità gli osservatori, con quegli occhi
intensi che sbucavano appena sotto il berretto nero. Sullo sfondo apparivano
soldati, cento, duecento, forse mille, che impugnavano bandiere tricolore.
L’altro rappresentava un uomo pienotto, di cui tutti i presenti rammentavano
esattamente la conformazione fisica, la barbetta, il grosso naso che reggeva
gli occhialetti tondi, ma nessuno ricordava più il nome. “Non era della loro
lingua”: ecco la giustificazione, ma poco importava.
Proprio sotto a queste due massicce figure, lo scrittoio reggeva il
testamento della Regina, verso cui, nel frattempo, si avvicinava un notaio.
L’uomo, già alzatosi da tempo e di buon grado, aveva attraversato moltissime
stanze prima di arrivare in quella dove si trovava, un percorso fatto di
sbagli, inciampi e confusione. Sedutosi, cominciò ad esaminare il contenuto
del testamento. Di quei tempi, però, si usava scrivere in maniera poco
comprensibile e con una grafia molto minuta, tanto che l’esaminatore fu
costretto a frugare qua e là nel mobile, in cerca di una lente di
ingrandimento. La trovò in uno dei tanti cassetti, proprio in fondo, dove la
lente giaceva, come nascosta da una cornice dal vetro ormai rovinato. Era
una foto, un uomo pelato con un berretto con una grossa aquila al centro. Al
notaio venne da chiedersi il perché non fosse stato aggiunto tra i quadri
esposti in bella vista sulla parete soprastante, nonostante le perfette
condizioni dell’immagine, ma non se ne curò tanto, e continuò a leggere la
pergamena, cercando di non tralasciare neanche una parola.
Nel contempo, la regina, ormai priva di ogni forza e con una benda sulla
fronte e sugli occhi, stava muta e gelida sul suo sudario, intuendo che gli
ultimi istanti della sua vita sarebbero stati accompagnati dalla presenza di
tutti quegli uomini che aveva conosciuto solo di vista e di passaggio.
L’atmosfera si faceva sempre più greve: erano evidentemente gli ultimi
respiri della tanto amata sovrana, attimi che scorrevano inesorabili sotto
gli occhi delle dieci figure. Improvvisamente, però, una di queste si mosse,
brandendo un crocifisso in mano, e così un anziano signore dal bianco
colletto rigido e avvolto dai paramenti sacri, ordinò che i presenti si
allontanassero nella stanza attigua, per dare il più correttamente possibile
le estreme unzioni. Al brusco gesto che accennava ad andarsene e alla grande
mano che li spingeva, finalmente i nove rimanenti lasciarono la stanza,
trasferendosi nella camera affianco. Il sacerdote maneggiò una piccola
anfora con gli unguenti necessari per il sacramento, quasi rischiando di
farla cadere per la mancata presa, dovuta all’impedimento che recava un
grosso anello dorato all’anulare sinistro. Dopo vari tentativi e dopo aver
compiuto il rito, con una certa goffaggine, il celebrante si inginocchiò
alla destra della regina, e con gli occhi nascosti dalle mani giunte,
sbirciava l’operato del notaio, che non aveva abbandonato la sua scrivania.
Fu proprio allora che un’improvvisa voglia di confessare lo spinse a pensare
fra sé, a riflettere su quello che stava accadendo: “Oh Mia Regina, che
il Nostro Signore ti possa accogliere nel Regno dei Cieli, che tu possa
riposare nella misericordia eterna. Mio Dio, prendila con Te, portala fra i
Tuoi angeli. Sì, te ne prego, questo non è più il Suo tempo... Ma che sto
dicendo?! Spero forse che la Mia Signora muoia?! No! Ahimè, che pensieri
funesti il demonio mi adduce! Sì, opera senz’altro di Satana! Signore,
allontanami da Lui, allontanami dalla sua cupidigia, e inebriami del Tuo
spirito, della Tua bontà... così in cielo, ma anche in terra... In terra no,
solo nella vita eterna. Ma no, anche in terra, Signore ne ho bisogno. Aspiro
alla ricchezza del Paradiso, non a quella di questo vile mondo. Ma del
resto… chi sono io per dirlo, se non un’umile creatura, serva del mio Dio?
Persevero forse nel potere che mi deriverebbe dalla morte della mia sovrana?
E sia, se è volontà di Dio. Sì, senz’altro lo è, se questi sono i miei
pensieri. Mia Regina, è sempre stato così, spetterà a noi il giudizio sul
Tuo operato, e nel frattempo opereremo noi, affinché il gregge sappia cosa è
giusto e cos’è sbagliato, cosa nasce dall’ispirazione divina e cosa è frutto
della cupidigia di Satana”. Si tolse l’anello e lo gettò sul letto, ma
subito se ne pentì, quando vide che il notaio si era accorto dell’inusuale
gesto, e se lo rinfilò al dito. “Il mio compito qua è finito, che il
Signore Ti accolga in cielo, Mia Regina, ma non Sei più di questo mondo.
Questa terra appartiene ai vivi”.
Rimessosi in piedi uscì dalla stanza, recandosi nella sala dove gli altri lo
attendevano.
L’altra camera era decisamente più ampia della precedente, sicuramente più
luminosa, ma forse meno spoglia. Lì, attorno ad un lungo tavolo bianco,
stavano seduti i nove, comodi su una poltrona, che riportava una grossa
targhetta con scritto il nome di ciascuno. Singolare era il fatto che le
poltrone fossero immobili, poiché erano saldamente attaccate al pavimento
della sala. I cavalieri della tavola, chissà perché, ingannavano il tempo in
uno strano modo. C’era, sul bancone, un grande mosaico, che simboleggiava la
famiglia reale e che era stato realizzato molti anni prima da un grandissimo
artista; ogni tessera era curata nei minimi particolari e disegnata con
sopraffina precisione. Quello che però straniva era che gli uomini lì seduti
si divertivano a tirare e a scombinarne i pezzi, e a metterli uno dopo
l’altro in una sequenza errata e quasi illogica, di cui però la gente nel
palazzo, che passava e spassava dinanzi a quel capolavoro, sembrava non
accorgersi: era uno strano gioco. Ad un certo punto uno dei presenti fece
cadere, forse non involontariamente, un vaso posto sulla tavola. Anche in
questo caso cercarono di rimettere i cocci insieme, ma con una combinazione
diversa della precedente, dando vita ad una forma sconosciuta e sgradevole,
sebbene non apparisse tale agli occhi di tutti gli altri, che anzi
sostenevano che era sempre stato in quell’esatto modo.
Quando entrò il prete, nella stanza ci fu un attimo di scompiglio; uno degli
uomini chiese se la Regina fosse ancora in vita, e, alla risposta
affermativa del sacerdote, decise di alzarsi da solo per andare a fare
un’ultima visita alla moribonda.
Si presentò, sulla soglia della camera ormai ben nota, la massiccia figura
di un cinquantenne, dal volto deformato, con un sigaro fra le dita, e che
guardava con aria di sfida il giaciglio della sua sovrana. Questi, tuttavia,
non si avvicinò al letto di morte, ma si limitò a fermarsi ad una certa
distanza dal corpo, in piedi. Mentre giocherellava con il tabacco che stava
nel suo borsello, l’uomo disse, o meglio, disse fra sé: “Eccoti.
Guardati. La Nostra Regina, che muore. Come tutti gli altri, come chiunque.
A quanto pare si vive diversamente, ma tutti moriamo allo stesso modo. Io
Sono Stato ovunque, sono venuto in questa stessa stanza più volte di quanto
tu possa credere, e tu non te ne sei mai nemmeno accorta. E io? – e qui
gli scappò una certa risatina – Io Sono ancora vivo. E vivrò, ancora,
uno, due, tre giorni, abbastanza per dichiarare la mia vittoria. Il potere
logora, chi l’ha e chi non l’ha. E se questo è il tuo potere, quello di non
arrivare ad avere una morte diversa dai pezzenti che qua sotto sono accorsi
per vederti, Mia Regina, credo che Tu sia un’illusa. Sei stata la Regina
della mia vita, Io Sarò il Re della tua morte. Le bombe e le stragi non mi
serviranno più, adesso la vera violenza sarà una sconosciuta normalità”.
Con un’aria superba, uscì col passo pesante dalla porta, facendosi udire da
un uomo che in molti conoscevano, dal cognome ingombrante e rispettato.
Questo non aspettò che l’altro uscisse che già era sull’uscio, e si gettò
immediatamente ai piedi del letto di morte.
“So cosa può averti detto. La paura non devi averla, Sei stata la Regina
che ho sempre difeso e per Cui ho combattuto, contro quel potere che Ti ha
ucciso. Sono stati loro, e ancora ne verranno, a confessarTi la loro
colpevolezza. Fisicamente sono morto anch’io, forse, ma le mie idee non
moriranno mai. Mia Regina, la Tua vittoria sarà la mia. La Tua morte, la Tua
sconfitta, sarà quella di tutti noi. Non abbandonarci, resisti!”.
Ma non riuscì a concludere che un’elegante figura, in giacca e cravatta,
fece sgomberare la stanza, aiutato da due guardie di palazzo, che,
nonostante le proteste del notaio, riuscirono a fare uscire tutti, lasciando
da solo il nuovo entrato con la sovrana. Prese una sedia, la pulì per bene,
poi con comodo ci si sedette e cominciò a guardare la moribonda. Dal
taschino si intravedevano foglie di tabacco, stranamente dello stesso tipo
di quello che fumava il secondo entrato. Cominciò subito a parlare, a voce
alta, chiara, forse con la presunzione di farsi sentire nella stanza
accanto.
“La corona. Il potere. La lealtà. Quante parole, quante belle parole oggi
possiamo analizzare insieme, Mia Amata Collega. La corona che adesso sta
sul tuo comodino, e che un tempo si sposava perfettamente col tuo capo,
domani, stasera, o quando vorrò, sarà mia. Il potere sarà mio. Perché?
Perché il popolo crede che sia giusto così, perché il popolo sa che è così,
che deve essere così. Si sbagliano? Chi può dirlo. Sono loro che decideranno
per sé, sono loro i sovrani. Tutto è così semplice e leale. Vogliono tutto
loro, che io ti sostituisca, perché persino nella tua stanza sono io a
decidere. E le mie decisioni piacciono, vengono acclamate, sorrette,
appoggiate. Non sono solo, sono con i sovrani. E loro, forse non lo sanno,
ma hanno scelto che sia Io il loro sovrano. Un sovrano dei sovrani, pensa un
po’. Vedi, se c’è qualcosa che hai sbagliato, è che non hai cessato di
credere che il popolo si comandi con i sani principi di lealtà, di moralità.
Il popolo ha bisogno di conoscerTi, di apprezzarTi, di vedere quello che
fai. Il Tuo operato, per quanto giusto sia, non è quello voluto dal popolo.
E anche se fosse? Ormai sei morta, mia serva. E io? Io diverrò il tuo
successore, anche se non ti ho mai conosciuto, anche se il popolo non lo sa,
ma lo vogliono, lo vuole. Chiunque sa che arriverà qualcuno a sostituirlo, e
il popolo crede che sia giusto che sia io, mia schiava. E’ tutto così
semplice. Tutto così immediato. Immediata sia la Tua morte, adesso non è ora
di piangerla, la folla ci penserà dopo, un giorno, perché crederà che sia
giusto farlo. Ma loro sono i sovrani, che accorrono in massa spingendosi
sotto le porte, sotto la pioggia, mentre io comodo siedo su questa non tua,
ma Mia poltrona”.
A questo punto si alzò, scostò la tenda e, guardando prima la pioggia che
era cominciata a cadere e poi verso il basso, continuò: “Sentili,
guardali. Dimenticavo… non puoi più alzarti. Sembra quasi che acclamino me,
stanno decidendo loro, non vedi?”. Proprio qui fu sul punto di
bloccarsi, perché sentì bussare alla porta, da cui entrò una donna non più
giovane, con delle profonde rughe debolmente celate dal trucco, che vestiva
elegantemente, ma aveva un’andatura quasi rozza. Quando questa arrivò nella
camera, subito si sedette nello scrittoio, dove prima stava il notaio.
Cercava qualcosa, forse il testamento della Regina, per esaminarlo meglio,
ma era stato portato via, e in preda all’ira cominciò ad esclamare all’uomo:
- Sei un incapace! Quando ti ho detto di fare uscire tutti non intendevo
di far togliere ogni cosa. Adesso dov’è il testamento? Se il notaio lo
leggerà attentamente, per noi sarà la fine!
- Tranquilla, è di una calligrafia minuta, di una lingua quasi
incomprensibile, qualcosa che lui non dovrebbe conoscere. Noi non glielo
abbiamo insegnato.
- Speriamo... Adesso vai, hai già fatto abbastanza danni!
Uscendo con un accenno di vergogna, il presunto successore al potere
ritornò a scombinare il mosaico della stanza accanto, mentre ancora sentiva
un rumore, probabilmente la donna che nella camera della Regina cercava il
fantomatico foglio.
“Mi darei il titolo di Regina da sola, se volessi che gli altri sapessero
tutto. Credono di poter comandare loro, e anche tu lo credevi, ma alle
spalle eri minacciata da me. Gli scandali che salterebbero fuori da quel
testamento.. Ah, solo a pensarci! Ma non sono preoccupata, abbiamo la
situazione in pugno. Gli altri soci, gli altri uomini con cui stai
trascorrendo il tempo dei tuoi ultimi battiti, sono miei amici, siamo una
società. Io sono una società, la società per eccellenza. E giù credono di
essere i comandanti! Mi vien da ridere… anzi, bene! E sia, facciamoglielo
credere! Non ho nulla da fare in questo posto, torno a casa mia, dove posso
continuare a organizzare meglio il tutto. Non vedrai nemmeno l’alba, mia
Regina, ma quel che non sai è che non ne hai mai visto una”.
Quando la porta si aprì, ancora cinque persone aspettavano di fare il
loro ingresso per dare un ultimo saluto alla moribonda. Ma un anziano
signore, in particolare, ferveva per essere il primo già da subito, anche se
non aveva protestato quando prima aveva visto entrare gli altri. Finalmente
il suo turno.
Appena entrò nella stanza vide le bende sulla fronte della Regina, e
impallidendo, in preda ad una crisi di nervi, cominciò a delirare,
nell’assoluta impossibilità di concatenare logicamente i suoi pensieri.
“Madre mia, cosa dirà la mia famiglia? Ti hanno ucciso, e io non ho
potuto fare nulla, io sono stato fermo, con le mani in mano, aspettando che
qualcuno ti curasse! Ma guardali, i medici, dove sono? Guarda come ti
lasciano soffrire!”. E nel frattempo, forse per calmarsi, beveva l’acqua
da un bicchiere sul comodino, probabilmente destinata alla sovrana. “Imperatrice
mia, cosa diranno gli uomini quaggiù, cosa? Non serviranno delle opere
pacifiche per calmarli, niente li potrà rassicurare adesso che te ne vai. So
che… Maestà.. difendili come hai fatto…”. L’agitazione
cominciava a dominare sull’anziano, che si fermò per uscire fra le lacrime,
e portandosi dietro il bicchiere da cui prima aveva bevuto.
I rimanenti quattro, vedendolo sconvolto mentre beveva, si guardarono negli
occhi. Dalla folta barba di uno venne una voce:
- E’ morta? No, non è morta. Non morirà mai, se il popolo la sosterrà.
Intanto serve un medico, vai tu.
E il signore più alto entrò nella camera, con la sua borsa che lasciava
chiaramente intendere la sua professione. Il barbuto continuò: “Servono
aiuti da tutte le parti. Mettiamo in atto una giusta forma di governo.
Raddrizziamo la società. Questa mattina ho scritto un grosso articolo sulla
situazione di oggi. E’ il caso che io vi illustri i rimedi per pervenire
alla nostra vittoria. Il popolo ci acclama. Ecco: cominceremo con il dire
che...”.
Ma nessuno lo stava più a sentire. Mentre ancora continuava a
borbottare, gli altri due sbirciavano ciò che faceva il medico, non
curandosi della correttezza, quasi certa, del discorso che sentivano.
Il medico, visitando la Regina ormai nel momento del trapasso, ordinò che
entrasse uno dei due per aiutarla. Ecco allora un uomo dalla carnagione
olivastra, che non capiva bene la lingua e che preferiva essere utile
piuttosto che continuare ad ascoltare parole su parole.
Ma, sebbene questo avesse seguito alla lettera le istruzioni, tutto si
rivelò vano.
Il medico sosteneva che non fosse un paese all’avanguardia, che dall’altra
parte del mondo avrebbero potuto farlo, che la Regina non fosse stata mai
curata a dovere, che nessuno se ne era mai preoccupato.
Lo straniero, invece, guardava sentendosi colpevole, non di se stesso, ma
dell’accaduto in generale.
L’ultimo ascoltatore, rimasto in scena già da un pezzo, annotava qualcosa su
un foglio. Nessuno si accorse che scriveva proprio sopra il testamento
reale, trasformando radicalmente i termini che venivano talvolta sbarrati,
talvolta ricalcati. Non erano le parole dell’anziano barbuto però, era la
descrizione di tutto l’avvenimento, un articolo di cronaca.
“Chi sarai, buona o cattiva sovrana, lo decideremo noi. Eccoti agli occhi
degli altri: una regina uccisa da uno straniero, che non aveva rispettato le
regole dettategli dal bravo medico nostrano. Tutti sapranno così, ne
parleranno, forse lo condanneranno dei giudici sonnolenti. Ma fra di noi,
nella stanza qui accanto, parliamo, tanto, siamo una grande squadra, e come
sai, l’unione fa la forza. Siamo tutti amici, sappiamo come fare per stare
bene, noi”. E lo straniero piangeva, si commuoveva, vedendo il colorito
della Regina che ormai cambiava e diveniva pallido, come il suo. La
pelle diversa trascolorava allo stesso modo, il pallore della defunta era
identico al colore del volto prima olivastro dell’extracomunitario, ma
nessuno sembrava accorgersene.
E venne il giorno in cui lo accusarono di omicidio, di essere stato il male
della società, la causa della morte della Regina. Ne parlarono tanto, forse
fin troppo, ma poi nessuno si accorse che si parlava di altro, che tutt’a un
tratto l’attenzione, come un fiume in piena, si era riversata su un nuovo
argomento, proprio nelle case del popolo che era accorso alla morte della
Regina: nei giornali solo uomini col taschino da cui fuoriuscivano pacchetti
di tabacco, lo stesso che era stato presente nel palazzo il giorno della
morte della Sovrana. Il popolo gridava ancora, ma sembrava che tutti fossero
sordi, che anche questa volta l’innocente medico avesse dato le giuste
istruzioni, ma che queste fossero state eseguite male. Dopo diversi giorni
piansero per la morte della Sovrana, fecero un solenne funerale, nel tempo
necessario per un’ingente cerimonia, e per un’edizione straordinaria che
andò a ruba.
In quella giornata di fitta nebbia, solo una macchia si distingueva nel
paesaggio. Un cane, o forse un esemplare di lupa, che in riva ad un fiume
aspettava qualcosa.
Una cesta: era piena di tabacco. |
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SolidaMente
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11/12/2013 |
Proposte. "Occupazione:
dalla scuola escano cittadini, non sudditi"; per la rubrica "SolidaMente" |
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SolidaMente |
SolidaMente
Occupazione
“Siamo convinti, e lo ripetiamo da anni, che il rilancio del Paese debba
passare da una politica di investimento sui giovani, che ne rappresentano il
futuro ed il presente. Non è possibile uscire dalla crisi senza incentivare
istruzione, università, ricerca”.
Investire sulla scuola, punto di partenza per un cambiamento, e sui giovani,
menti del futuro e del presente: è proprio per raggiungere questo obiettivo
che migliaia di ragazzi, animati dallo spirito di rivolta proprio dei
giovani, hanno deciso di interrompere per periodi più o meno lunghi
l’attività didattica occupando i loro edifici scolastici.
Accomunati da esigenze di diversa entità, non hanno esitato a far sentire la
loro voce. Una voce che richiede innanzitutto una legge nazionale per il
diritto allo studio, fondamentale ed imprescindibile per la formazione
personale e culturale.
I giovani sanno che cultura è sinonimo di libertà e alle loro agili menti
non sfugge che ciò a cui la classe dirigente mira è la tacita distruzione
della democrazia attraverso la diffusione di un’ignoranza che renda le menti
schiave del sistema politico ed asservite ai progetti di questo.
Rendendo le strutture scolastiche poco agevoli, per non dire impraticabili,
creando “classi pollaio” in cui si perde ogni possibilità di instaurare un
approccio personale docente-alunno, lo stato mira a scagliare i giovani
contro l’istituzione scolastica, non rendendosi conto di acuire in questo
modo il loro spirito di ribellione che sfocia nelle più varie forme di
protesta contro le riforme statali.
Che dire, ad esempio, delle ingenti somme di denaro che uno studente è
costretto a pagare per potersi garantire il diritto all’istruzione? Tasse
che riempiono le casse scolastiche e statali e la cui gestione resta spesso
un oscuro segreto, spese di trasporto raramente rimborsate, adozioni di
libri che hanno cifre allucinanti alleggeriscono annualmente i portafogli di
tutti gli italiani. E’ ammissibile che l’istruzione diventi un lusso per
ricchi? No, questo non va bene ai giovani, che fanno delle proposte concrete
per diminuire l’entità del problema: un miglioramento del servizio di
comodato d’uso scolastico, attualmente prerogativa esclusiva di chi vive
nella quasi completa indigenza, ed una più concreta possibilità di utilizzo
degli e-book.
Sembra semplice la realizzazione delle proposte degli studenti, o forse lo
è; non avendo più intenzione di lasciare che i loro diritti vengano
calpestati, i ragazzi non si limitano a ribellarsi, a fare rumore, a creare
disagio, ma si impegnano concretamente proponendo idee non utopistiche, ma
perfettamente attuabili.
I giovani sono stanchi di vedere le loro scuole occupate da insegnanti
chiusi al dialogo, ciechi di fronte alla realtà, o peggio, da dirigenti che,
consapevoli dei disagi dei propri alunni, ignorano tacitamente o
esplicitamente i loro diritti e collaborano con lo stato nel cercare di
tenerli buoni attraverso false promesse proprio mentre si riempiono le
tasche del denaro che a loro non manca. Giunti al punto di saturazione, sono
adesso i giovani ad occupare per marciare in senso opposto ai loro superiori
perché non sono più disposti ad accettare questa frustrante realtà creata
dallo stato.
Ma si può ancora parlare di stato? O sarebbe forse più corretto definirlo
una casta fatta di politici, banchieri, giudici che lottano per inaridire le
menti del futuro attraverso leggi ipocrite che sembrano mirare, oltre che
alla diffusione dell’ignoranza, al fallimento delle imprese,
all’eliminazione dei posti di lavoro? Come può un giovane avere fiducia nel
proprio stato se il suo solo intento è quello di distruggere ogni
prospettiva presente e futura?
“L’istruzione alimenta il dubbio e la curiosità: dev’essere di tutti, come
vuole la Costituzione, in modo che dalla scuola escano cittadini, non
sudditi”.
I giovani questo non lo dimenticano e, rendendosi conto che le istituzioni
mirano ad abbattere la loro libertà di cittadini, si adoperano affinché
questo non accada poiché credono in un futuro diverso e migliore.
E’ difficile riuscire a cambiare uno stato in cui le corrotte classe
dirigenti annegano nell’egoismo e si tappano le orecchie, si bendano gli
occhi pur di non ascoltarli e non vederli.
Ma la tenacia è prerogativa dei giovani, i quali non si arrenderanno finché
qualcosa non inizierà a cambiare.
I risultati non sono prevedibili, occorre dunque affidare “ai posteri
l’ardua sentenza”. |
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SolidaMente
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10/12/2013 |
Proposte. "Cineforum: finalmente è arrivato il
grande giorno!"; per la rubrica "SolidaMente" |
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Locandina
SolidaMente |
SolidaMente
Cineforum
Finalmente è arrivato il grande giorno!
Noi di SolidaMente siamo lieti di comunicare all’intera cittadinanza che il
Cineforum inizierà venerdi 13 dicembre alle ore 19.00, presso il centro
polifunzionale “San Nicola”.
Per noi è un grande traguardo, il primo di una lunga serie, e ci rende
felici ed orgogliosi poter fare qualcosa per la comunità, per la
costruzione dei sogni che accomunano tutti i giovani: la felicità ed il
benessere del popolo.
Ci sentiamo in dovere di ringraziare per l’aiuto datoci la professoressa
Tascarella e la dottoressa Mattina.
Un altro ringraziamento va ad Enzo Agnello, Agnese Agnello, Sonia
Buscemi, Antonio Zaffuto ed a tutti quelli che ci hanno sostenuto e
continuano a farlo.
Pubblichiamo di seguito la scaletta dei film:
13 dicembre – “Quasi amici” di E. Toledano, O. Nakache
3 gennaio – “Viva la libertà” di R. Andò
10 gennaio – “100 passi” di M. T. Giordana
24 gennaio – “Il colore viola” di S. Spielberg
31 gennaio – “Noi siamo infinito” di S. Chbosky
7 febbraio – “Decalogo I e VII” di K. Kieślowski
14 febbraio –“ L'onda” di D. Gansel
21 febbraio – “V per Vendetta “di J. McTeigue
Per le tessere potete contattarci tramite la page di facebook “SolidaMente”,
oppure chiamarci ai recapiti telefonici seguenti: Antony 329.0755203,
Enrico 327.7157251, Salvatore 320.7962097.
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SolidaMente
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01/12/2013 |
Proposte. "Cineforum"; per la rubrica "SolidaMente" |
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SolidaMente |
SolidaMente
Cineforum
Noi ragazzi di SolidaMente, grazie all’aiuto della
ex lista civica “Se non ora quando”, abbiamo pensato di creare delle
attività di Cineforum con la visione di alcuni film su tematiche forti che
ci terranno “impegnati” per tutto il periodo invernale.
Vi aspettiamo numerosi nei locali di “San Nicola” per la visione del primo
film (data ancora da destinarsi).
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SolidaMente
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25/11/2013 |
Proposte. "Giornata mondiale contro la violenza
sulle donne"; per la rubrica "SolidaMente" |
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No alla violenza
SolidaMente |
SolidaMente
Giornata mondiale contro la violenza sulle donne: "Chi ti picchia non ti
ama"
Minacciate, insultate, malmenate, ferite,
violentate, uccise. Sono oltre un milione le donne italiane che nel 2012
hanno subito un atto di violenza, una ogni tre giorni è stata oggetto di
femminicidio a opera del partner o di un familiare.
"Non so se diventerò il simbolo della violenza sulle donne, e non mi
pongo il problema, sicuramente sarò al loro fianco. Io mi sento una donna
che ha subìto una tragedia, che si è vista calpestare e scaraventare ad un
passo dalla morte. Ma sono ancora qui. E sono sempre Lucia".
Queste sono le parole di Lucia Annibali, una delle tante vittime, prima
minacciata, poi malmenata e infine addirittura sfregiata da due uomini
incaricati dal suo ex fidanzato.
Proprio così, il suo ex fidanzato, uomo che una volta ha amato e che ora è
stato capace di commettere una tale atrocità.
“La mia faccia sarà diversa tra un mese, sei mesi, un anno. I miei
lineamenti si evolveranno, diventeranno più chiari, nitidi, certi. Ai medici
di Parma devo tutto. Sono arrivata in reparto che avevo l’acido nelle cornee
oltre al viso che bolliva. Ero cieca. Mi hanno ridato la vista, con essa
anche la vita. Io sento dolore fisico, lo sento anche forte, ma sono
convinta che alla fine guarirò”.
Lucia però è stata forte, Lucia ha reagito, Lucia ha raccontato tutto, lei
non ha avuto paura.
“Di lui non mi interessava più nulla da molto
tempo - dice Lucia - e oggi mi interessa solo che venga punito per
quello che ha fatto. Andrò in tribunale al momento del processo, se questo
sarà necessario. Ma la mia vita è cambiata per sempre, e del passato mi
piace ricordare solo le cose belle”.
E alle ragazze non forti come lei, a quelle che per paura non trovano il
coraggio di denunciare tali avvenimenti, cosa succede se non riescono a
soffocare in tempo l’ira dei propri uomini?
Vengono uccise.
Chi è l’uomo per pensare di poter uccidere una donna solo per gelosia, chi è
l’uomo per poter abusare della sua compagna?
Questo tipo di uomo è una bestia, un mostro.
E quando questi fatti vengono denunciati cosa succede?
- Se esiste una relazione affettiva tra la vittima delle violenze e il suo
aguzzino, la condizione sarà considerata come aggravante sia in sede di
processo penale che nella valutazione delle misure di prevenzione. Per
relazione affettiva si intende qualsiasi rapporto di coppia, quindi non
necessariamente la convivenza o il matrimonio. Una nuova aggravante prevista
dalla legge è la violenza sessuale su donne incinte. L'arresto in flagranza
diventa obbligatorio per i reati di maltrattamento e stalking. Il PM potrà
disporre a carico dell'aggressore intercettazioni telefoniche, oltre che
l'allontanamento dalla casa familiare e dai luoghi frequentati dalla
vittima. Se la persona accusata di stalking elude la prescrizione, sarà
obbligato a portare un braccialetto elettronico.
- La denuncia della donna contro il suo aguzzino, a differenza che in
passato, diventa irrevocabile in caso di minacce gravi (ad esempio con arma
da fuoco), e revocabile per quelle meno gravi solo davanti all'autorità
giudiziaria.
Secondo voi questo può bastare per sopprimere un tale fenomeno?
Il 25 novembre si celebra la Giornata mondiale contro la violenza sulle
donne, milioni di persone e centinaia di scuole scenderanno in piazza per
far sentire la loro voce con dei flash-mob, delle manifestazioni e dei
grandi cortei.
Dobbiamo porre fine al femminicidio, dobbiamo opporci e combattere con tutte
le nostre forze.
Dobbiamo denunciare fatti di questo tipo, perché chi ti picchia non ti
ama, chi ti picchia non merita il tuo amore, chi ti
picchia non merita il tuo silenzio.
Dice il Devoto-Oli:
“Qualsiasi forma di violenza esercitata
sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di
matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di
annientare l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico,
fino alla schiavitù o alla morte”.
Vogliamo infine lanciare il messaggio inviato dal Dipartimento per le Pari
Opportunità: “Chi usa la violenza in una storia d’amore compie un reato
doppiamente grave, proprio perché dice di amarti. Allontanalo dalla tua
vita. Chiama il 1522: un aiuto gratuito e competente, con garanzia di
anonimato”.
“La violenza ha mille volti. Impara a riconoscerli”.
La donna è quella dolce creatura che dà la vita, non un oggetto sessuale.
E’ l’ora di dire basta. |
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SolidaMente
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21/11/2013 |
Proposte. "Giovani e Rivoluzione"; terzo articolo della nuova rubrica "SolidaMente" |
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SolidaMente |
SolidaMente
Giovani e Rivoluzione
Spesso si sente parlare di ribellione, di giovani
che protestano per rivendicare i loro diritti o di ragazzi arrestati
durante una manifestazione.
La domanda che sorge spontanea è: qual è il motivo che spinge i giovani a
ribellarsi?
Tutti ci lamentiamo dello Stato che non va come dovrebbe andare, della crisi
che non ci consente di vivere come si dovrebbe o della corruzione che
macchia la dignità dell’italiano, pure di quell’onesto padre di famiglia che
la mattina si alza prestissimo per prendere il suo solito caffè senza
zucchero, salutare la moglie ed i figli e correre subito al lavoro.
Ci vogliamo soffermare sulla tragica storia che avvolse la dignità
dell’italiano onesto.
Un giorno qualunque, l’italiano onesto si alzò prestissimo, come faceva
ormai da tanto tempo, ma non uscì di casa; si affacciò dalla finestra e
rimase lì ore ed ore a riflettere sul da farsi. Da quel giorno nella vita di
quell’onesto lavoratore si aprì un solco incolmabile. Venne licenziato dalla
fabbrica in cui lavorava, motivo crisi. Ma come dirlo a sua moglie? Con
quale faccia presentarsi in piazza, trovare la forza di sedersi al bar a
discutere di sport con gli amici? Come fare a pagare il mutuo della casa? Il
mondo gli crollò addosso. Tutti i suoi sogni vennero infranti in un
battibaleno. Si decise di dire la verità alla moglie, ma quel duro colpo
inflittogli lo fece sentire un piduista. Usciva di notte per paura che
qualcuno lo potesse notare, andava vagando di strada in strada e di panchina
in panchina. Si sedeva per riflettere sugli errori che lo Stato aveva
commesso nei suoi confronti; quello stesso Stato che oggi ci impone di
essergli fedele e di proteggerlo a qualsiasi costo. Esso dov’era quando
quell’onesto signore, padre di famiglia, stava morendo di fame? Pensava sul
serio che potesse campare, insieme a tutta la sua famiglia, con la cassa
integrazione? Lo Stato pensò mai che con ottocento euro quell’uomo non
riuscisse più a coprire nemmeno il mutuo della casa? Ah certo, lui a ciò non
pensa! E’ troppo impegnato “a stringere tra le dita il rosario dei sondaggi,
sperando che lo rinfranchi”.
Quell’uomo fu ucciso dallo Stato, nel suo magazzino, sopra una sedia ormai
barcollante, come del resto lo è tutto il mondo.
Tutto ciò successe una sera qualunque, di un giorno qualunque, in un paese
qualunque.
Quando si sente parlare di manifestazioni e di proteste giovanili le persone
adulte fanno una smorfia di disapprovazione; pensano che noi siamo “gli
sbagliati”. Il ridicolo ed il torto passano sempre sulle leggere ma
tenaci spalle dei giovani, i quali sono gli unici a credere ancora in
qualcosa. Sanno che per far sì che si realizzino i loro sogni, devono
contare solamente sulle loro potenzialità e sulla loro unione.
Bisogna ammirarli per ciò che fanno e non pensare solamente a dire: “Ma che
volete fare i rivoluzionari? Lo Stato nemmeno vi considera; scendere in
piazza a manifestare è solamente una gran perdita di tempo”.
Lo Stato plasma i giovani a suo piacimento: li vuole perfetti ed ubbidienti,
li crede dei buoni a nulla, preferisce che siano degli insignificanti
citrulli e non si prende la briga di ascoltarli.
Quando si ha un’ideale, un sogno, una passione, per cui vale la pena
lottare, bisogna combattere fino all’ultimo granello di vita.
Non ci si deve lasciar prendere dallo sgomento o dalla cupidigia che sta
avvolgendo questa società, ormai contaminata dalla corruzione e
dall’egoismo.
Oggi i giovani si stanno ribellando perché non vogliono subire la stessa
ingiustizia di quell’onesto lavoratore italiano che cadde in disperazione
per una colpa non commessa da lui.
Vogliamo ricordare ai lettori l’articolo 4 comma 1 della Costituzione
Italiana: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il
diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo
questo diritto.
Il lavoro è un diritto fondamentale ed intoccabile!
Noi giovani siamo il futuro, ma anche il presente e non è per niente vero
che pensiamo solamente a criticare, a fare cagnara e a non concludere mai
niente. La società odierna cerca di farci apparire sotto una falsa luce, ma
noi questo non lo permettiamo e giorno dopo giorno continueremo la nostra
lotta contro i problemi che ci affliggono.
P.S.: Vogliamo ricordare che per adesso non è compito nostro far qualcosa,
amministrativamente parlando, per colmare il deficit finanziario, ma è di
chi ci governa.
Vogliamo concludere questo nostro articolo con una citazione di Jean-Jacques
Rousseau: “L’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene”.
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SolidaMente
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16/11/2013 |
Proposte. "Musica e
Cultura"; secondo articolo della nuova rubrica "SolidaMente" |
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SolidaMente |
SolidaMente
Musica e Cultura
“Un paese senza arte è un paese senza
anima”.
Viviamo in un paese dove si preferisce mandare avanti un bar, in cui
adolescenti consumano così il loro tempo, la loro salute, le loro
potenzialità di realizzare se stessi, piuttosto che migliorare una
biblioteca, o creare un punto di riferimento per tutti i giovani.
Come vogliamo chiamarla questa singolare piece teatrale? Noia?
Malessere sociale? Disagio giovanile?
Ci siamo mai chiesti come si è mobilitata in questi anni l’Amministrazione
comunale per noi giovani?
Chi si assumerà quindi la responsabilità?
I giovani vogliono risposte con risultati immediati in grado di migliorare
da subito le loro condizioni, e porre dunque le premesse per un solido
modello di crescita, i cui frutti si potranno apprezzare solo nel medio e
lungo periodo.
Perché allora non pensare a ideare, scoprire cosa attragga i giovani oggi,
avvicinarsi a loro e insieme creare un punto di riferimento fondamentale per
tutti i giovani del paese.
Ci è subito venuto in mente “Musica e Cultura”, titolo di un gruppo
ideato da Peppino Impastato
(dove
si proiettavano interessanti film, ai quali seguivano dibattiti e confronti,
che aiutavano molto nella riflessione, nella presa di coscienza per una
crescita culturale e politica),
e
attraverso questo gruppo si possono organizzare attività
culturali, teatrali, musicali, pittoriche e sportive e, perché no, anche un
carnevale alternativo, visto che a Grotte non ne abbiamo da anni.
Bisogna che i giovani siano resi protagonisti delle scelte culturali,
evitando che sia sempre l'ente pubblico a “decidere a tavolino”.
Valorizzare la cultura coinvolgendo specialmente le giovani
generazioni, è un modo per condividere insieme le loro emozioni, che spesso
non vengono ascoltate.
Precisiamo che un paese senza cultura e arte è un paese che non vuole
crescere, negandosi un futuro vero, concreto e soprattutto libero.
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Cordiali saluti
SolidaMente
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12/11/2013 |
Proposte. "Bruciata, ma, da
chi?"; primo articolo della nuova rubrica "SolidaMente" |
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SolidaMente |
SolidaMente
Bruciata, ma, da chi?
“Siete una gioventù bruciata” è il grido di
battaglia che spesso accompagna le lamentele degli anziani e dei meno
giovani, dirette alle sorde orecchie del troppo diffuso menefreghismo della
nuova generazione. Non sarebbe buon giudizio nostro, né di nessun altro,
controbattere dicendo che non abbiamo nulla di “bruciato”, e che anzi sono
le idee di tutti noi ad ardere in attesa della più prossima attuazione.
Ma la domanda sorge spontanea; dopo i mille perché che ci siamo chiesti e ci
avete chiesto, è opportuno riflettere su un altro contesto: da chi siamo
stati bruciati?
Chi è il nostro assassino?
Da chi è voluto e gestito, da chi è stato preparato il rogo dove siamo
condannati, e chi continua ad accatastare la legna per renderlo il più
eterno possibile?
Si potrebbe dare la colpa alla società, a noi stessi, o forse agli
educatori, ma il verdetto che rivelerà l’assassino non è immediato, dobbiamo
attendere un po’ di tempo, coadiuvato con la nostra riflessione, per
conoscere addirittura il crimine commesso.
Oggi manca l’iniziativa, la volontà, lo stimolo che ci spinga ad essere
attivi: sul sociale, sul politico, sull’umano. E’ consuetudine del nostro
presente andare alla ricerca di svaghi, di attività che mal si conciliano
con un interesse che può darci frutti. E, dato ancora più preoccupante,
facendo così, non si fa che agire con un enorme disinteresse nei confronti
dei problemi che oggi ci avvolgono, e che domani soffocheranno le nostre
prospettive future.
Se, però, in diversi casi, nasce ancora quel barlume di rabbia,
insopprimibile, che porta a lamentarsi per la consapevolezza del nostro
destino “bruciato”, ecco che possiamo accantonare la definizione della
nostra gioventù.
La rabbia, vuoi per desolazione, vuoi per necessità, nasce ancora, ed è
irrefrenabile. Ma è di questa rabbia che il nostro assassino ha paura? C’è,
dalla parte opposta, l’idea che nutrirci di vane speranze possa in qualche
modo distoglierci dal desiderio di agire?
Oggi, qua a Grotte, manca l’iniziativa, la volontà e lo stimolo che ci possa
spingere ad essere attivi: sulla situazione sociale, politica, su tutte le
attività all’interno del Comune in cui viviamo, che non è altro che una
riduzione in scala del nostro contemporaneo.
E allora perché, anziché alimentare il nostro rogo, non depositate il
combustibile necessario nei nostri cervelli, per farci divenire un punto di
svolta? Colpa della nostra mentalità? Dalle ceneri si può rinascere, basta
avere la giusta spinta.
Se siamo una generazione bruciata, sicuramente una buona parte della colpa
va a noi stessi, ma un’altra bella fetta va proprio a voi: chi si interessa
di noi? Chi si prende cura dei nostri stimoli, chi non ci sopprime, mirando
soltanto a svolgere il proprio compito, non coinvolgendoci direttamente,
limitandosi all’ottica del proprio interesse, senza degnarsi del fatto che
noi siamo esseri pensanti, non matricole, non numeri, non schede, non vuoti.
Qualcuno avrà fallito. E il fallimento di questo, è stato anche il nostro.
Ma noi, a differenza di altri, abbiamo una marcia in più: siamo nel pieno
dei nostri giorni, siamo globalizzati, siamo interattivi. La rete che noi
utilizziamo fin troppo (motivo per cui spesso siamo anche classificati come
“generazione spenta”, che si nutre dei freddi rapporti online) sa essere
anche un grande strumento, di organizzazione, di assemblea, di confronto.
E’ necessario che però dal piccolo si passi al grande, che dal singolo si
passi alla massa e soprattutto che si vada dall’eterno fuoco dell’idealismo
al concreto.
Dove sta il punto? Nella collaborazione. La suddivisione della “colpa”,
nostra e vostra, non è un motivo di accusa, ma di invito. Se si vuole che
tutto non rimanga com’è, bisogna che tutto cambi (ci perdoni Tomasi).
Il cambiamento è possibile solo da un sentimento comune, di cui dobbiamo
essere gravidi tutti, noi e voi. Con la speranza che le nostre non rimangano
soltanto parole tralasciate da molti.
Creiamo punti di incontro, dibattiti, manifestazioni, associazioni.
Facciamolo sul serio, è il momento di agire, non di rinviare.
Non è più il tempo adatto per essere soltanto voi stessi, dovete capire
quando essere l’uno e quando essere l’altro, quando restare nella vostra
lenta e rassicurante vecchiaia (non legata all’età anagrafica), e quando
entrare nel tormento della precarietà, o nel fuoco dei giovani.
Sperando non si tratti soltanto di un sogno. |
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Cordiali saluti
(La gioventù bruciata, ma anche bruciante)
SolidaMente
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