Il 9 maggio 2008 è stato il giorno della memoria di Peppino Impastato
ucciso dalla mafia la notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978. Sono
trascorsi trent’anni da quando Cosa nostra su ordine di Tano Badalamenti
fece saltare in aria il militante di Democrazia proletaria, animatore e
fondatore di Radio Aut, sui binari della ferrovia che collega Cinisi a
Palermo.
Da Torino a Reggio Calabria, passando per Trapani e Siracusa, varie
associazioni hanno reso onore alla memoria di Peppino.
Lo hanno fatto ciascuno a suo modo, attraverso cineforum, dibattiti
pubblici, incontri nelle università, spettacoli teatrali, riportando
oggi in vita quello che le mafie pensavano di avere ucciso: la voglia di
cambiare e di essere veramente liberi.
La fine di Peppino, morto 5 giorni prima della sua elezione a
consigliere comunale di Cinisi nelle liste Democrazia proletaria,
impresse una decisa sterzata al corso della vita di chi gli sopravvisse.
Di sua madre,Felicia Bartolotta e di suo fratello Giovanni, come di sua
cognata Felicetta. Diventarono i custodi della sua memoria. Ci sono
voluti 23 anni perché Peppino Impastato diventasse con bollo di
giustizia un morto di mafia. E quell’omicidio un delitto contro la
parola.
L’assassino di un giornalista postumo. Perché Peppino fu iscritto
all’albo professionale, quando finalmente Badalamenti, nel 1997, fu
incriminato.
Parlava Peppino. Parlava tanto in una Cinisi muta, sorda e cieca.
Peppino mostrava cosa stavano facendo del suo paese, con l’aeroporto in
ampliamento, l’America dei cugini d’oltreoceano sempre più vicina, la
droga a fiumi e la speculazione dei signori del cemento alle porte.
Faceva nomi e cognomi. Di mafiosi e di politici. Che andavano a
braccetto e si facevano fotografare insieme. Tano Badalamenti , l’11
aprile 2002, fu condannato all’ergastolo per quel delitto ma il 30
aprile 2004, a 80 anni, morì nel centro medico penitenziario Deves Fmc,
ad Ayer (Massachusetts): scontava 45 anni per un colossale traffico di
droga sulla rotta aerea Usa-Sicilia.
Il 5 maggio 2001, Vito Palazzolo, braccio destro di Badalamenti, anche
lui amico degli Impastato, aveva rimediato 30 anni. Felicia Bartolotta,(mamma
di Peppino), lo incrociò nel primo giorno del primo processo. Lo guardò
dritto negli occhi e lo costrinse ad abbassare lo sguardo. Gli sibilò
con rabbia: “Vergognati“.
Peppino Impastato è nato a Cinisi (PA), il 5 gennaio 1948, da una
famiglia mafiosa (il padre Luigi era stato inviato al confino durante il
periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del
padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso con una giulietta
imbottita di tritolo nel 1963). Ancora ragazzo, rompe con il padre, che
lo caccia via di casa, e avvia un’attività politico-culturale
antimafiosa.
Nel 1965 fonda il giornalino “L’idea socialista”. Dal 1968 in poi
partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova
Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione
della terza pista dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi.
Nel 1976 fonda “Radio Aut”, radio privata autofinanziata, con cui
denuncia quotidianamente i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e
Terrasini, e in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti. Il
programma più seguito era “Onda Pazza”, trasmissione satirica con cui
sbeffeggiava mafiosi e politici.
Nel 2000, nei cinema esce il film “I CENTO
PASSI”.
Il film racconta la vita di Peppino Impastato, e la sua storia,
finalmente viene conosciuta dal grande pubblico.
Regia: Marco Tullio Giordana
Soggetto e sceneggiatura: Claudio Fava,
M.T. Giordana e
Monica Zappelli.
Il ruolo di Peppino viene interpretato dall’ottimo Luigi Lo
Cascio.
“ C’è una scena del film che spiega tutto. Peppino litiga con suo padre(Luigi Maria Burruano), suo
fratello Giovanni(Paolo Briguglia) lo
rincorre per calmarlo e lui lo porta, passo dopo passo, fino alla casa
di Tano Badalamenti (Toni Sperandeo).
La distanza è appunto di soli cento passi.
Eppure, Peppino gli dice nel film, quei pochi metri separano due mondi
opposti: quello delle persone oneste, dei lavoratori, e l’altro degli
assassini e dei prevaricatori. Ecco, questa può essere la metafora della
storia di Peppino: si può vivere nello stesso microcosmo, addirittura
sotto lo stesso tetto, come avveniva tra lui e suo padre, ed essere
distanti anni luce. Nello stesso tempo, lo spazio di cento passi ti fa
capire quanto sia labile il confine della scelta tra il bene e il male.”
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