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«Se un uomo potesse mantenersi sempre sul culmine dell'attimo della
scelta, se potesse cessare di essere uomo […] sarebbe una stoltezza dire
che per un uomo può essere troppo tardi per scegliere, perché nel senso
più profondo non si potrebbe parlare di una scelta. La scelta stessa è
decisiva per il contenuto della personalità; con la scelta essa
sprofonda nella cosa scelta; e quando non sceglie, appassisce in
consunzione. Per un attimo è o può parere, che si sceglie tra
possibilità estranee a chi sceglie, con le quali egli non sta in nessun
rapporto e verso le quali si può mantenere in stato di indifferenza.
Questo è il momento della riflessione. […] Quando si parla di scelta che
riguardi una questione di vita, l'individuo in quel medesimo tempo deve
vivere; e ne segue che è facile, quando rimandi la scelta, di alterarla,
nonostante che continui a riflettere e riflettere […]. Si vede allora
che l'impulso interiore della personalità non ha tempo per gli
esperimenti spirituali. Esso corre costantemente in avanti, e pone, ora
in un modo ora nell'altro, i termini della scelta, sì che la scelta
nell'attimo seguente diventa più difficile […]. Immagina un capitano
sulla sua nave nel momento in cui deve dar battaglia; forse egli potrà
dire: bisogna fare questo o quello; ma se non è un capitano mediocre,
nello stesso tempo si renderà conto che la nave, mentre egli non ha
ancora deciso, avanza con la solita velocità, e che così è solo un
istante quello in cui sia indifferente se egli faccia questo o quello.
Così anche l'uomo, se dimentica di calcolare questa velocità, alla fine
giunge un momento in cui non ha più la libertà della scelta, non perché
ha scelto, ma perché non lo ha fatto; il che si può anche esprimere
così: perché gli altri hanno scelto per lui, perché ha perso se stesso.
[…] Quando si crede che per qualche istante si possa mantenere la
propria personalità tersa e nuda, o che, nel senso più stretto, si possa
fermare o interrompere la vita personale, si è in errore. La
personalità, già prima di scegliere, è interessata alla scelta, e quando
la scelta si rimanda, la personalità sceglie incoscientemente, e
decidono in essa le oscure potenze.»
Lunga, ma doverosa citazione; la drammaticità e l’importanza della
scelta sono espresse in maniera precisa e travolgente. Se il discorso
sulla scelta fosse ulteriormente approfondito, sicuramente il libro (Kierkegaard,
Aut-Aut, 1843) sarebbe stato più vicino al titolo e a ciò che ne
riportano i manuali di filosofia. Ma così non è.
Aut-aut dunque, ovvero o questo-o quello, senza mezze misure. La
scelta è disgiunzione, separazione, divisione, rinuncia ad una parte che
non tornerà o che, se potrà essere riproposta, lo farà in un momento
diverso. E la scelta potrebbe essere di nuovo diversa, poiché essa è
legata al momento. In un momento si potrebbe scegliere una via, in un
altro successivo si potrebbe scegliere il suo opposto.
La scelta è complicata, articolata, paralizzante. Con la proiezione
nella molteplicità delle possibilità, la scelta immobilizza. Non si
sceglie, ma si riflette sulla scelta. Come il capitano della nave.
Dopo tutta la fatica che si affronta per scegliere, si spera che almeno
sia ripagata e si intraprenda la strada giusta. Invece, ecco cosa dice
Kierkegaard: «Sposatevi: ve ne pentirete. Non sposatevi: ve ne
pentirete ancora. O che vi sposiate, o che non vi sposiate, ve ne
pentirete in ogni caso. Ridete pure delle sciocchezze del mondo: ve ne
pentirete, piangete su di esse e ve ne pentirete ancora o che ridiate
delle sciocchezze del mondo o che piangiate su di esse, ve ne pentirete
in ogni caso. Fidatevi di una ragazza: ve ne pentirete. Non fidatevi di
essa, ve ne pentirete ancora - o che vi fidiate di una ragazza o che non
vi fidiate, ve ne pentirete in ogni caso. Impiccati: te ne pentirai. Non
impiccarti, te ne pentirai ancora - o che t’impicchi o che non
t’impicchi, te ne pentirai in ogni caso. Questi, miei signori, è il
succo di tutta la saggezza di vivere.»
Dato che, qualsiasi sia la scelta fatta, ne seguirà di sicuro il rimorso
per ciò che non è stato scelto, quel che conta è come si affronta la
scelta, con quale energia, con quale passione. Scegliendo, la
personalità si fortifica. Direi che praticando la scelta si conoscono i
trucchi, i modi più consoni per pensare, il peso da dare alle varie
alternative, il tempo da dedicare, la considerazione da offrire alle
arringhe della ragione e ai salti dell’istinto.
Spingiamoci un po’ più in avanti. C’è una scelta principale da
affrontare: dobbiamo sceglierci. Fino a quando non abbiamo piena
coscienza della nostra persona, non possiamo scegliere veramente. Ci
appigliamo a qualcosa di esterno a noi, che ci distoglie dalla
comprensione di ciò che siamo. Kierkegaard propone alcuni esempi di
persone che mettono al centro della propria vita qualcosa di esteriore,
rifiutando la propria personalità.
Innanzitutto c’è il playboy, il don Giovanni citato anche troppo, che
vive soltanto per conquistare donne. Ma anche il bravo e fedele
innamorato può sbagliare, se mette al centro la sua amata come unico
fine, dedicandosi tutto a lei.
Fin qui, tutto può sembrare vicino al senso comune. Ma Kierkegaard
aggiunge: «Si ha un talento pratico, un talento mercantile, un talento
matematico, un talento poetico, un talento artistico, un talento
filosofico: la soddisfazione della vita, il godimento, è cercato nello
sviluppo di questo talento. Forse non si rimarrà fermi al talento nella
sua spontaneità, lo si educherà in tutti i modi, ma la condizione per la
soddisfazione nella vita è il talento stesso, che è una condizione che
non è posta dall’individuo». Ovvero, non bisognerebbe lasciarsi
trascinare troppo da quel che si fa, da quel che si sa fare bene,
tendere alla perfezione: avremmo così soltanto un lato completo (forse),
ma tutte le altre nostre sfaccettature restano bianche.
Perfino il mistico viene considerato un uomo che non vive alla maniera
giusta, poiché «chi può negare che l’uomo deve amare Dio con tutta la
sua anima e tutto il suo pensiero […]? Non ne consegue affatto però che
il mistico debba disprezzare quell’esistenza, quella realtà in cui Dio
l’ha posto». Viene subito da pensare alle suore di clausura, sulle quali
recentemente si è risollevata la questione sulla loro funzione
all’interno della Chiesa, e se fosse giusto permettere di condurre una
vita isolata in nome di Dio.
Il libro affonda nelle descrizioni delle varie possibilità di vita
incorretta, sempre secondo la concezione di Kierkegaard, e propone
successivamente un modello positivo. Ma scegliendolo, potremmo
pentircene.
Meglio una rassegna critica su cose che ci riguardano, anziché una lista
di precetti da seguire. Costruire è difficile, distruggere lo è di meno:
ma fa bene lo stesso. |
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