Il romanzo è uno di quelli che in un primo momento spiazza: ci sono pagine
di cui non si riesce a cogliere il senso ed altre con una sola parola,
tratti di penna rossa, parti che sembrano slegate, foto di particolari
ingranditi a dismisura.
Ma è solo un’impressione momentanea, perché il tema centrale è di quelli
che, a cinque anni di distanza, continuano a sconvolgerci: l’attacco alle
torri gemelle dell’11 settembre.
In effetti però, come scopriremo a poco a poco, il tema vero è forse quello
del dolore universale o anche, se si preferisce, del desiderio di
esorcizzare il più grande di tutti i dolori, quello legato alla perdita
delle persone care.
Protagonista è un bambino: sì perché questa immensa tragedia è rivissuta
attraverso il cuore e la mente del piccolo Oscar, che ha ascoltato, da solo,
a casa, la registrazione delle telefonate del padre, rimasto imprigionato in
una delle torri e che non ha avuto il coraggio di rispondere all’ultima,
quella, concitata e convulsa, che precede il silenzio.
La storia parte da lì, ed è una storia che assume anche i contorni di una
favola, perché Oscar, alla ricerca costante, nella sua muta disperazione, di
qualcosa che lo tenga legato al suo amatissimo papà, trova, dentro un vaso
azzurro, una chiave ed una busta con un nome, “Black”.
Chi è Black? Quale serratura apre quella chiave? E qual è il mistero
che avvolge anche la famiglia di suo padre, sopravvissuta, alla fine della
seconda guerra mondiale, al tremendo bombardamento di Dresda? Sì, perché la
tragedia dell’11 settembre richiama altre tragedie, quasi a chiudere il
cerchio del dolore universale: oltre a Dresda, c’è infatti anche un richiamo
ad Hiroshima, ma alla fine , a poco a poco, le varie storie si legano, tutti
i misteri si ricompongono ed anche quelle pagine senza senso e quelle foto
trovano una loro logica.
Gli ingredienti della favola – anche se di una favola tragica - ci sono però
tutti, a partire dal protagonista, senza macchia e senza paura (veste solo
di bianco), che inizia la sua ricerca (la queste degli antichi
romanzi cavallereschi) in un mondo pieno di insidie (non usa mai i mezzi
pubblici e percorre a piedi tutte le strade di una New York ferita a morte),
anche se con i piedi pesanti (un’espressione americana che indica la
tristezza) e con un accompagnatore improbabile, come lo sono spesso gli
accompagnatori dei grandi personaggi della letteratura, come il Sancho Panza
di don Chisciotte.
Una composizione assolutamente geniale, che sorprende tanto più se si pensa
alla giovane età dell’autore, Jonathan Safran Foer (nato nel 1977), il quale
già nel 2002, col suo romanzo di esordio, Ogni cosa è illuminata (da
cui è stato di recente tratto un film), aveva stupito la critica di tutto il
mondo e che è riuscito a confermare e consolidare tale stupore con questo
nuovo straordinario romanzo.
(Giovanna Lauricella)
L’AUTORE
Jonathan Safran Foer è nato a Washington nel 1977 e vive a New York.
Il suo romanzo d’esordio, Ogni cosa è illuminata, è stato pubblicato da
Guanda nel 2002.
I GIUDIZI:
"Il secondo romanzo di Jonathan Safran Foer è quanto di meglio si potesse
desiderare: ambizioso, pirotecnico, enigmatico e soprattutto, nel suo
ritratto dell'orfano Oskar, estremamente commovente. Ha ogni diritto di
racchiudere in sé la tragedia dell'11 settembre... Un risultato
eccezionale."
Salman Rushdie
"Uno scrittore straordinario."
Fernanda Pivano
"Jonathan Safran Foer è l'impassibile bambino prodigio della letteratura
americana."
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